LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU NON VUOI SAPERE, O FENOMENOLOGO!"
creata il 16 ottobre 2007 aggiornata il 5 luglio 2011

 

 

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L'analista che per vari motivi sia interessato all'opera di Husserl, magari perché è psichiatra e ha avuto un'infarinatura fenomenologica o perchè è lacaniano, quindi ha inconsapevolmente ricevuto un imprinting fenomenologico durante la cosiddetta "formazione", o perchè è vagamente interessato a nozioni fenomenologiche di stampo prettamente umanistico come "empatia" e "intersoggettività", deve sapere che sono almeno tre i fattori che qualificano la fenomenologia husserliana come regressiva rispetto al discorso scientifico, quindi sterile in psicanalisi.

I. Husserl presuppone l'esistenza di un atteggiamento naturale da superare con la sua famosa epoché (Ausschaltung). Per ammissione dello stesso Husserl, mettere tra parentesi significa assumere un atteggiamento di coscienza che si traduce in inibizione rispetto al contenuto neutralizzato, senza che questo venga alterato. Allora il presupposto di un atteggiamento secondo natura ci riporta all'ilozoismo ionico e in particolare alla physiologia di Empedocle, una mitologia già superata dagli Eleati prima e da Anassagora e Ippocrate poi. Ciò dà una prima misura della regressione husserliana. Una misura che si può precisare meglio.

II. Nei confronti del cogito cartesiano Husserl commette due errori capitali:

uno logico, l'altro filosofico.

II a) errore logico. Husserl considera il "tentativo" di dubbio cartesiano come negazione universale dell'essere. L'autore dei sei volumi delle Ricerche logiche sembra ignorare che il dubbio non nega nulla fuori di sé, ma nega all'interno di sé, cioè formula un giudizio sul sapere del soggetto. Se dubito, non credo vero. Questa è l'opinione espressa da Pier Aldo Rovatti nel suo libro La posta in gioco. Heidegger, Husserl, il soggetto, Bompiani, Milano 1987, p. 21, di cui allego la prima parte con l'autorizzazione dell'autore. E aggiungerei per completezza: se dubito non credo neppure falso, altrimenti cesserei di dubitare e avrei raggiunto qualche forma di certezza. Nei termini di logica epistemica intuizionista il dubbio sospende semplicemente l'alternativa epistemica: o so o non so. Il dubbio introduce - anzi "è" - una terza possibilità tra sapere e non sapere. Perciò può essere fecondo. Infatti, nelle mani di Cartesio il dubbio produce il soggetto della scienza, che regolarmente Husserl non vede, perché arriva a dubitare del dubbio (epoché). L'allievo fenomenologo e psicanalista corregge il maestro, segnalandogli che "qualcosa pensa prima di entrare nella certezza": il soggetto della scienza (J. Lacan, Le Séminaire. Livre XI. Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse (1964), Seuil. Paris 1973, p. 37).

A parziale giustificazione dell'aberrante interpretazione husserliana devo segnalare la possibilità non remota che Husserl abbia letto una cattiva traduzione tedesca delle Meditazioni metafisiche (1641) di Cartesio. Nella IV Meditazione, dedicata al vero e al falso, Cartesio propone la propria concezione epistemica del falso, che sarà poi ampliata e sviluppata da Spinoza. In AT 55 leggo:

non enim error est pura negatio, sed privatio, sive carentia cujusdam cognitionis, quae in me quodadmodo esse deberet,

che traduce (e riduce) l'originale francese:

car l'erreur n'est pas une pure negation, c'est à dire n'est pas le simple defaut ou manquement de quelque perfection qui n'est me point deuë, mais plutot est vne privation de quelque connoissance qu'il semble que ie deurois posseder.

Nella traduzione tedesca di Artur Buchenau, rinnovata da Lüder Gabe e rivista da Hans Günter Zekl, leggo:

denn Irrtum ist kein reines Nichtvorhandensein, sondern Beraubtsein oder Mangel einer Erkentnnis, die eigentlich in mir sein sollte. (R. Descartes, Meditationen über die Grundlagen der Philosophie, Felix Meiner, Hamburg 1992, p. 50).

Con che diritto quei tre professori tedeschi traducono negation con Nichtvorhandensein, una parola composta, creata da loro apposta per significare "non essere presente"? I tre professori anticipano il significato cartesiano di "errore", negando che sia "negazione" ma sia il non essere presente del sapere. Il risultato della loro fretta interpretativa è di ridurre il significato di "negazione" a "negazione dell'esistenza". Non esistesse Verneinung per dire "negazione"...

II b) errore filosofico. Secondo Husserl, Cartesio vuole individuare una zona dell’essere esente dal dubbio. In altri termini, Cartesio cercherebbe l’essenza pura e indubitabile del soggetto. Ma questo non è il programma cartesiano, è il programma husserliano: una filosofia concepita come ‘scienza rigorosa’. In realtà, Cartesio non ha bisogno di alcuna scienza rigorosa, perché sta già praticando la scienza moderna; non cerca essenze e non è su posizioni ontologiche ma epistemiche. Insomma, Cartesio non ha bisogno di individuare il soggetto della scienza, perchè è lui che l'incarna.

Qui si profila l'ulteriore precisazione della regressione husserliana. Husserl considera rigorosa la scienza aristotelica, che aveva appreso da von Brentano. E sul modello aristotelico inventa una scienza rigorosa. Si chiama fenomenologia. E' la vecchia scienza ingenua e antropomorfa, con molta esperienza ma nessun esperimento. La fenomenologia è la rivincita di Simplicio su Salviati e Sagredo, in un "Dialogo dei massimi sistemi" riscritto... male.

E poi Husserl dimentica – anche se dice di non dimenticarlo – che Cartesio esce dalla Scolastica. Non si interessa all'essenza, ma mira a determinare l'esistenza. Il cogito non porge l'essenza del soggetto moderno, ma dimostra che il soggetto della scienza esiste nel momento in cui esercita la sua azione specifica (termine freudiano!): il dubbio. Non sappiamo molto della sua essenza (eidos), ma sappiamo che la sua esistenza non può essere né cancellata né integrata da nessuna successiva epoché.

III. Infine, Husserl commette l'errore soggettivo che un altro grande fenomenologo, Lacan, denuncia come fatale. Non è consigliabile mettere in dubbio il dubbio - il metadubbio - per esempio con l'operazione trascendentale dell'epoché. Infatti, metadubitando i casi sono due: o non si ottiene nulla di nuovo o si perde il sapere già acquisito. Lacan evidenzia questa seconda possibilità in margine al suo sofisma sui tre prigionieri (J. Lacan, "Le temps logique et l'assertion de certitude anticipée" (1945), in Ecrits, Seuil, Paris 1966, pp. 197-213) ), ripreso nel Seminario sull'Io. (cfr. J. Lacan, Le Séminaire. Livre II. Le Moi dans la théorie de Freud et dans la technique de la psychanalyse, (1954-1955), Seuil, Paris 1978, pp. 332-333) In effetti, a Husserl sfugge l'"essenza" del discorso scientifico, inaugurato da Cartesio e da lui orientato a determinare le esistenze prima delle essenze. Di conseguenza Husserl perde tempo a reinventare una "filosofia come scienza rigorosa", quando la scienza è stata già inventata e basta riconoscerla. "Rigorosa" vuol dire, filosoficamente parlando, basata sull'"essenza", non sull'"esistenza". Quindi, il rigore di Husserl convoca il rigore metafisico, non scientifico.

L'errore psicologico di Husserl è quello tipico dello psicastenico. Husserl non ritiene abbastanza radicale il pur iperbolico dubbio cartesiano e, attraverso l'epoché, pretende fondare il nuovo "cartesianesimo del XX secolo" (Introduzione alle Meditazione cartesiane). In soldoni, Husserl vuole essere più cartesiano di Cartesio. Risultato: perde il "guadagno" cartesiano. A ciò si aggiunga la pulsione, tipicamente filosofica, alla fondazione assoluta e rigorosa della scienza, e si ottiene il quadro presuntuoso e vacuo della fenomenologia husserliana, che nasce come scienza dei fenomeni e finisce come solipsismo trascendentale.

Queste tre fallacie si trovano concentrate in Idee per una fenomenologia pura (1913) I, II, §§ 27-32.

Curiosamente, sviluppando la nozione di "intenzionalità", l'ultimo Husserl arriva a parlare di "pulsione". Come Freud? Non proprio. Il fatto, tuttavia, testimonia l'origine da un ambiente culturale comune di psicanalisi e fenomenologia. Sia Husserl sia Freud, infatti, negli anni Settanta di due secoli fa, sedevano sugli stessi banchi dei seminari di psicologia empirica, che l'aristotelico von Brentano teneva a Vienna . Da lì - da Aristotele - uno sviluppò la nozione di intenzionalità, come finalità soggettiva, che mira alla conoscenza, l'altro la nozione di pulsionalità, come finalità oggettiva, che mira alla soddisfazione sessuale. Ciò spiega somiglianze e differenze tra fenomenologia dell'uno e psicanalisi dell'altro. Ciò giustifica le ragioni per dimenticare sia Freud sia Husserl, o meglio la metapsicologia dell'uno e la fenomenologia dell'altro.

Per saperne di più su questo argomento, da un punto di vista accademico e meno polemico del mio, vedi Didier Frank, Au-delà de la phénoménologie, di prossima pubblicazione su "aut aut".

Per chi abbia interessi interessi filosofici, la seguente pagina:

epoché o fuorclusione,

offre spunti di ulteriore riflessione.

A chi, invece, voglia prendersi due minuti di relax, offro alla lettura la seguente pagina, tratta dal romanzo di Muriel Barbery L'eleganza del riccio:

La truffa fenomenologica,

che con maggior garbo ed efficacia di me dice la verità su Husserl come falso maestro.

Per chi abbia interessi scientifici la famosa novella di Melville

Bartleby, lo scrivano,

offre ulteriori spunti di riflessione sulla psicastenia.

*

I would prefer not to.

E' senz'altro paradossale che l'enunciato inaugurale della psicastenia sia illocutorio e performativo. Non enuncia alcunché, lo scrivano Bartleby, con il suo famoso enunciato. Ma la sua non-enunciazione è performativa. Non è né vera né falsa, ma pratica. Fa qualcosa nel reale. Invece di togliere la seduta con la frase rituale "la seduta è tolta", il suo "preferirei di no" inaugura la psicastenia.

Che è una malattia assai moderna, che i moderni come Husserl stentano a riconoscere come tale. Perché dico moderna? Perché la psicastenia prolunga indefinitamente il dubbio cartesiano senza arrivare a concludere sull'esistenza del soggetto. Non è una semplice sciocchezza, quella di Bartleby, però. In un certo senso ha ragione a prolungare il dubbio, lo scrivano. Il prolungamento è teoricamento reso necessario dal fatto che il soggetto finito si trova difronte a un oggetto infinito. Ma commette un errore Bartleby. E' un errore poco originale, anzi molto comune: scambia la presentazione dell'oggetto per l'oggetto. In effetti, Bartleby si confronta con una delle tante possibili presentazioni diacroniche e interminabili dell'oggetto infinito e crede di avere a che fare con l'oggetto stesso. Se avesse preso in considerazione una presentazione sincronica dell'infinito, per esempio spaziale invece che temporale, non sarebbe finito tanto male.

Le analisi interminabili, di cui ogni analista ha fatto la sconsolante esperienza, sono ricalcate sul modello di Bartleby. L'analizzante, diventato psicastenico, soggiorna indefinitamente nel tempo per comprendere, senza passare mai al tempo successivo; cioè al tempo al per concludere. Ma un sospetto è ragionevole. Forse il difetto è nel manico, cioè nell'analista che non ha una conveniente teoria dell'oggetto. Sono, per la verità, teorie psicanaliticamente poco convenienti tutte le dottrine eziologiche, che presuppongono il regresso al tempo mitico della scena originaria – la freudiana Urszene – concepita come causa prima della soggettività. Il risultato di queste analisi interminabili è l'istituzione nel reale di un residuo transferale insolubile, all'interno del quale il soggetto è definitivamente sequestrato, come se fosse condannato all'ergastolo. Eufemisticamente Elvio Fachinelli parlava a questo proposito di "Claustrofilia".

Particolare curioso. L'ultimo Freud scrisse un saggio contro le psicanalisi brevi alla Ferenczi, intitolato Die endliche und die unendliche Analyse, "Analisi finita e infinita", che cervelloticamente Musatti tradusse "Analisi terminabile e interminabile". Musatti non sapeva o non voleva sapere che l'analisi che termina, termina su una ricostruzione dell'oggetto infinito. Quella che non termina è quella che, come l'antica filosofia aristotelica, non vuole affrontare il discorso dell'oggetto infinito, preferendo rimanere ancorata a qualche oggetto finito di tipo feticistico.

Il tema del rapporto tra oggetto infinito e psicastenia soggettiva è trattato dallo psicanalista zurighese Olaf Knellessen nel suo saggio

Accelerazioni. Sull’infinito in psicanalisi e nei nuovi media.

(Beschleunigungen. Zum Unendlichen in der Psychoanalyse und in den neuen
Medien
,

a cui rimando.

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